I racconti di Shady Hamadi dal Libano ci danno un'idea di come l'informazione e l'opinione pubblica banalizzino una tragedia mediatica, ma, in fin dei conti, sconosciuta. Scrittore ed editorialista de Il Fatto Quotidiano, figlio di padre siriano esiliato dal regime di Hafiz al-Asad, genitore dell'attuale rais, Hamadi si è speso molto in questi anni per la causa siriana. Dei suoi coetanei che abitano nella madrepatria in cui non può tornare dice che "sono disincantati, disillusi e diffidenti nei confronti di usa l'Islam per accreditarsi con la gente". E ora, un'altra piaga colpisce la sua gente: l'agghiacciante utopia dello Stato Islamico.
Come si spiega l'avanzamento dell'Isis fino a Damasco, se solo a fine gennaio sembrava esserci stato un arretramento dopo la sconfitta di Kobane?
La premessa è che il campo profughi di Yarmuk era circondato dall’esercito regolare e dai miliziani del fronte per la liberazione della palestina di Hamad Jibril. La popolazione del campo, che e’ un quartiere vero e proprio, stava morendo di fame e di stenti da due anni. Nel corso di questo periodo centinaia di palestinesi-siriani e siriani sono morti di fame. Come sia stato possibile che l’Isis e Jubat al Nusra abbiamo rotto l’assedio, infiltrandosi nel campo, e perche’ abbiano puntato proprio su Yarmuk e non su altri quartieri piu’ strategici, e relativamente piu’ semplici, sono domande che ancora non hanno una chiara risposta. I fatti evidenti sono che l’Isis si sta scontrando all’interno del campo con le brigate dell’esercito libero e con alcune formazioni solidali con l’opposizione. Mentre il regime ha cominciato a sganciare su Yarmuk i barili bomba che di certo colpiscono anche i civili.
E' ancora possibile delineare un quadro politico in Siria fra alleanze che si costituiscono, si scompongono e si combattono? Cosa è intervenuto dopo la pace di Ginevra e la rielezione di Assad?
Ginevra non ha portato a nessun cambiamento, perche’ gli attori chiamati a dialogare non sono quelli principali che oggi contano in Siria. Oggi esiste una frammentazione sul terreno che coinvolge tutti e due i fronti. A livello internazionale sappiamo che Russia, Iran e Cina continuano a sostenere il regime di Damasco, dall’altra parte ci sono gli interessi di Arabia Saudita, Qatar e Turchia, che aiutano alcuni gruppi, molto spesso radicali. In mezzo a questo scenario c’e’ la societa’ civile siriana, quella che nel 2011 scese in piazza a chiedere libertà e dignità, e che oggi è dimenticata ed emarginata. Se vogliamo una soluzione per la Siria, dobbiamo coinvolgere questa terza parte e sostenerla.
Il fenomeno dei foreign fighters. Cosa spinge i ragazzi occidentali, e soprattutto le ragazze, educate secondo una cultura della libertà, a seguire il califfato e la jihad?
Di sicuro, c’e’ un conflitto identitario e un disagio che l’Europa ha prodotto in questi ragazzi. Dobbiamo essere consapevoli che la guerra che questi giovani vengono a combattere in Siria e in Iraq, in nome di una loro ideologia, che non ha nulla a che fare con la volonta’ e le aspirazioni di quelle popolazioni, è frutto dell’Occidente, di modelli d’integrazione sbagliati e di un senso di accerchiamento dovuto all’immaginario che i media europei e americani hanno creato intorno all’Islam. Questi ragazzi, non sentendosi accettati, vanno a combattere guerre che non sono le loro in nome di un loro islam e di un loro Dio, dal quale tutti ci dissociamo.
Nonostante sia nato in Italia, è molto critico nei confronti del nostro Paese. Ritiene che affrontiamo la situazione siriana in maniera troppo semplicistica?
Non solo la Siria, ma tutto il Medioriente è trattato con categorie bizzarre. Le faccio un esempio. In Italia si tende a trattare tutta l'area mediorientale come un monolite, ma i siriani sono totalmente differenti dai tunisini, e i tunisini dagli egiziani. Continuano a fare discorsi geopolitici vuoti e ridondanti, senza tenere presentei le aspirazioni della gente. In ultimo, non possiamo parlare di mondo arabo se non leggiamo i loro giornali e se non dialoghiamo con loro.
Da anni in Siria i buoni diventano cattivi e viceversa. Una domanda scorretta: ma lei, da che parte sta? Dai suoi racconti si evince, e in parte lo ha accennato prima, ma vorremmo che fosse più chiaro. Forse, può servire all'esterno ad avere uno scenario meno nebuloso.
Sto dalla parte dei giovani che nel 2011 sono scesi in piazza e sono morti chiedendo libertà. Fa male sapere che vengano considerati solo come numeri vuoti.