A sin.Luigi De Filippo durante una scena di Miseria e nobiltà e a dx. il giorno della laurea ad honorem in Scienze della comunicazione
Luigi De Filippo, neo dottore con laurea honoris causa in Scienze della comunicazione, è una fonte inesauribile di aneddoti che incrociano storia e cultura. Reduce dal successo di Miseria e nobiltà (di Eduardo Scarpetta), sta lavorando ad un nuovo progetto in quello che è ormai il suo regno, il teatro Parioli Peppino De Filippo. "Mia moglie e io - dice - abbiamo tirato fuori dal buio questo teatro fino a farlo diventare tra i migliori della capitale, ma nessuno, intendo le istituzioni, ci ha dato un riconoscimento. Per non parlare degli ostacoli della burocrazia: andare avanti è difficilissimo. La cultura è aiutata a parole, ma nei fatti..."
Tra l'altro, questo era una volta il tempio di Maurizio Costanzo. Qualcuno chiama ancora per sapere a che ora registrano il talk show, vero?
Qualche volta. Per fortuna, non spesso. C'è anche chi manda gli auguri di Natale a Costanzo.
Cosa pensa di chi abbraccia i classici rivisitandoli, riadattandoli? Non è come snaturarli?
A volte sono operazioni che riescono e risultano abbastanza interessanti, altre no. Ma bisogna stare attenti. Io, per esempio, ho rivisitato Molière e ho inscenato nella Napoli della rivoluzione giacobina Il malato immaginario, che non aveva paura delle malattie, bensì dell'evolversi dei tempi, dell'arrivo della rivoluzione francese nella città partenopea. Quella fu un'idea geniale che piacque molto. Anche perché, nessuno sa che Napoli fu la prima città europea ad accogliere quel grido di libertà. "A gente nun sape' niente!".
Parlando di libertà, oggi la satira ha vita facile. Un tempo non era così. I rapporti della sua famiglia con il Fascismo erano, però, accettabili. Possiamo parlare di una criticità tollerata dal regime.
Sì, una sopportazione controllata. Mi raccontavano al riguardo che Mussolini fosse solito dire: "I De Filippo sono la mia valvola di sicurezza. Li lascio fare, così non mi potranno dire che sono un dittatore".
E c'è una prima storica in cui suo zio Eduardo ha dato prova di grande diplomazia, pur mantenendo la sua verve ironica verso il regime.
Si inscenava a Torino Ditegli sempre di sì, la cui trama narrava di un pazzo che veniva dimesso dal manicomio. Per evitargli reazioni inconsulte, gli si diceva sempre di "sì". Quella sera arrivò a teatro il podestà e chiese alla compagnia di dire due parole per celebrare le conquiste dell'Italia, che era diventata un impero. Quindi, mio zio, dopo il sipario pronunciò un discorso molto ermetico: "Questa commedia è nata in un Regno e termina in un Impero. Ditegli sempre di sì".
Ci furono reazioni?
Il pubblico rimase un po' sorpreso, perché la conquista dell'impero aveva entusiasmato le folle. C'era poco da ridere, ma Eduardo ci riuscì.
Lei è molto critico con la televisione. E suo zio non era da meno. C'è una telefonata che la dice lunga su questo rapporto tra piccolo schermo e palcoscenico…
Stavamo a pranzo. Squillò il telefono e mio zio andò a rispondere. Dall'altra parte del filo: "Qui è la televisione". Era una voce che si esprimeva con tono di comando, come a dire: "Inchinatevi davanti al potere". Mio zio, allora, rispose: "Un momento, vi passo il frigorifero". Considerava il mezzo televisivo un elettrodomestico, oltre che uno strumento per far conoscere il teatro, l'amore di famiglia. Noi De Filippo siamo stati sempre stati gente di teatro, non di spettacolo.
Nella sua famiglia c'era affetto, ma anche conflittualità. Sentimenti che non hanno intaccato lei e suo cugino Luca. La cosa triste è che gli ha detto "benvenuto" e poi "addio".
Ci vedevamo poco, per via dei molti impegni. Negli ultimi tempi, però, ci siamo visti più di frequente. Tra noi ci sono sempre stati stima e affetto reciproci. Il nostro era un rapporto abbastanza sereno e affettuoso.
Ma lei era un po' geloso? Non era più il cocco di zio.
Io geloso? No, com'era giusto che fosse, l'affetto e l'interesse di Eduardo si sono riversati su suo figlio.
Custodisce gelosamente una foto che ritrae i tre fratelli De Filippo con Luigi Pirandello. Lei che ha vissuto con i miti, che valore assegna al mito oggi che si è tutto smitizzato?
Appunto, si è risposta da sola. Oggi ci sono quelli che tutti riconoscono come divi televisivi. Ma i miti son altro. Ho conosciuto persone di grande intelligenza, artisti che mi hanno influenzato: Pirandello, De Sica, Totò. E poi ho avuto come maestri mio padre e i miei zii. Da ognuno cercavo di rubare qualcosa. De Sica era un grande direttore artistico, un grande regista, oltre che un grande attore. E Pirandello è stato un rivoluzionario: ha completamente trasformato il teatro mondiale. Le sue commedie venivano fischiate. Il pubblico lo prendeva per pazzo. E' quello che succede a chi è avanti. Semplicemente, anticipava i tempi con una drammaturgia nuova, fondata sull'essere e l'apparire dell'uomo. Ognuno di noi ha mille facce. E non si sa quale sia quella vera. Quando l'ho conosciuto ero un ragazzino, non mi rendevo conto. Col tempo, quando ho studiato le sue commedie, ho capito che avevo avuto la fortuna di conoscere un genio vero e la foto a cui accennava è nel botteghino del teatro.
Non si sta formando una quarta generazione di De Filippo?
I figli di Luca fanno altro e mia figlia fa la mamma.
E sua nipote?
Ha una bella faccia tosta, ma è troppo piccola. Mi piacerebbe solo che fosse felice. Tre generazioni sono abbastanza. Non si può durare in eterno. Se la cosa si esaurisce con noi, pazienza. Sono, comunque, sereno, anche perché la vita in teatro è fatta di molti sacrifici e, se non riesci, rimani un fallito per tutta la vita.
Suo padre la vede da lassù e pensa…
Questo bisogna chiederlo a lui (ridendo ndr.)
Lei cosa vorrebbe?
Con mio padre abbiamo avuto un rapporto molto affettuoso e molto conflittuale. Vorrei che dicesse: "Figlio mio, avevi ragione tu".
Beh, lei m'insegna che la ragione non sta mai da una parte sola.
Sì, ma io ho avuto ragione veramente nelle discussioni con mio padre. Il tempo mi ha dato ragione.
Il tempo è galantuomo?
Esatto.