Può il pregiudizio uccidere? Può il silenzio stordire? Può la quiete dopo il clamore turbare più del rumore? C'è una sola risposta per tutte queste domande: "Sí". Nell'ansia di raggiungere le proprie ambizioni e di nascondere i propri drammi, siamo tutti così impegnati a tenere fissa davanti agli occhi la nostra maschera tanto da dimenticarci di ... vivere.
Lo zio città, di Piero Moriconi, di scena fino al quattro marzo prossimo al teatro Tirso de molina a Roma, è una commedia brillante con punte di drammaticità. Andrea Roncato veste i panni di un uomo che, davanti allo specchio, tira le somme della sua esistenza e il risultato sembra essere una sottrazione. Ci sono le rughe che sotttraggono la gioventù, le cattiverie che sottraggono le sicurezze, l'amore perduto che sottrae la felicità. La solitudine fa tutto il resto.
Quando la diversità significa non accettazione dell'altro, si finisce col non accettare nemmeno se stessi. E il rifiuto di sé può avere conseguenze nefaste. Ma siamo a teatro, e i colpi di scena non mancano, così come le risate e, contemporaneamente, l'amarezza che deriva dalla consapevolezza che la realtà può essere anche più crudele del palcoscenico.
Bravi gli attori, da Angela Melillo, che si scopre una sorprendente caratterista, a Daniela Terreri, da Moreno Amantini a Valentina Paoletti. Ultima chicca: i costumi di Gai Mattiolo, dai colori vivaci, che contrastano il dramma vissuto e accentuano le note ironiche.